Le sue opere

“Sono sagome che racchiudono, oltre ad un’estasi metafisica, un segreto tormento terreno. Ma i solchi scavati nelle pietre dello scultore sono presi dalla memoria dell’infanzia e artistiche incisioni d’amore per la vita d’ogni giorno e per tutti i soggetti che la rappresentano e ad essa danno significato”. (Rosaria Guadagno, 2002)

“Ti piace guardarle e ti piace averle lì. Sculture che ti tengono compagnia. La sua scultura non è soltanto una buona emozione. E’ una fatica espressiva elaborata e una scelta. Che lavori sul grosso oppure sul piccolo, Sanzeni predilige un’idea romantica, aperta, evita l’acutezza, lo spigolo, esorta a trovare linee d’incontro.”. (Tonino Zana, 2004)

“Il connubio tra pietra e ferro sembra collocare le opere in tempi che travalicano la contemporaneità per suggerire la presenza di altri mondi. Infatti in alcune sue opere si respira l’atavico ascendere non soltanto verso il mondo dell’infanzia ed il suo magico sentire, ma anche verso il mondo antico quando uomini ed animali vivevano in forme che potevano trasmigrare dentro il mito”. (Oscar Di Prata –Giovanni Quaresmini, 2004)

“Rivedendo la sua galleria di opere, il continuum fra materia e innesto creativo rende inconfondibile la sigla rappresentativa sanzeniana nei due versanti, sacro e profano. Sculture sacre che trascendono i significati liturgici grazie all’efficacia dell’elaborazione che attinge al personale immaginario (angeli, “Francesco e Chiara”, le varie raffigurazioni del santo di Assisi, quelle religiose, sacerdoti e vescovi, ma anche il Cristo nella sofferenza accettata e serena, con la corona di spine che rimanda a una più alta regalità); sculture profane che assurgono a simboli del sentimento umano (maternità, fraternità, amicizia); e animali colti negli atteggiamenti peculiari, emblemi della forza della natura (bisonti, mucche, cavalli, gru). Il continuum interpretativo, che scaturisce dal sentimento di Lino Sanzeni, eleva le stesse opere profane (e si vedano le “Maternità”) a valore sacro. Perché sacra è la vita”. (Attilio Mazza, 2008)